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La “perdita di chance”


Negli ultimi decenni le possibilità di ottenere il risarcimento del danno sono state sempre più ampliate con l'introduzione del concetto di “perdita di chance”.

Punto di partenza e riferimento ancora attuale per l'azione di risarcimento del danno è l'art. 2043 del codice civile che così recita: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

In base a tale norma per avere risarcimento del danno sono fondamentali i seguenti elementi:

a) sotto il profilo oggettivo è necessario un comportamento umano, che può essere commissivo o omissivo.

b) tale comportamento deve aver causato un danno ingiusto, cioè deve aver leso un interesse meritevole di tutela giuridica;

c) il comportamento dannoso deve essere legato alla produzione dell'evento dal cosiddetto nesso di causalità, ossia dev'essere stato causa efficiente dell'effetto dannoso, deve averlo cagionato.

In base all'art. 1223 del codice civile il danno risarcibile si articola nelle due sottocategorie normative del danno emergente (inteso come "violazione dell'interesse del creditore al conseguimento del bene dovuto e alla conservazione degli altri beni che integrano in atto il suo patrimonio) e del lucro cessante (che si identifica con l'incremento patrimoniale netto che il danneggiato avrebbe conseguito mediante l'utilizzazione della prestazione inadempiuta o del bene leso ovvero mediante la realizzazione del contratto risoluto).

Dall'entrata in vigore del codice civile ad oggi Dottrina e Giurisprudenza hanno sempre più ampliato la possibilità di ottenere il risarcimento del danno, comprendendo ipotesi ulteriori rispetto a beni concreti, tangibili ed attuali presenti nel patrimonio del danneggiato: in questa prospettiva evolutiva è stato creato il concetto di “danno da perdita di chance”, ossia di danno da perdita di occasione favorevole (chance), cioè di definitiva perdita della possibilità, concretamente esistente nel patrimonio del danneggiato, di conseguire ulteriori vantaggi economici.

La Cassazione nel 2007 ha definitivamente statuito che “il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione” ed ancora più recentemente ha affermato più volte che “la cosiddetta perdita di chance costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro”.

La perdita di chance è risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri (anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza di un valido nesso causale tra condotta illecita e perdita della chance (che deve essere attuale ed effettiva); il danneggiato cioé deve provare “la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita".

A tale proposito la Corte di Cassazione richiede “la ragionevole certezza dell’esistenza di una non trascurabile probabilità favorevole (non necessariamente superiore al cinquanta per cento)”.

Attraverso tale tecnica non si ottiene il bene sperato ovvero il suo integrale equivalente monetario, bensì ci si accontenta di una percentuale del valore del bene sperato; tale tecnica viene utilizzata soprattutto nelle ipotesi in cui il bene finale auspicato è irrimediabilmente perduto.

Si ricordano qui di seguito alcuni dei campi di applicazione:

Errore medico

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4400/2004 afferma che quando oggetto della domanda è la chance di sopravvivenza come danno emergente, è sufficiente che l'attore deduca una possibilità di sopravvivenza non meramente simbolica (in ipotesi anche pari al 10%) per ottenere un risarcimento del danno parametrato alla lesione lamentata.

In dottrina, in sede di primo commento alla sentenza de qua, si è sostenuto che “purché sia certa l'inadeguatezza dell'adempimento prestato dal debitore il creditore danneggiato potrà ottenere il risarcimento per le chances perdute, senza che rilevi la reale efficacia impeditiva della condotta dovuta (e omessa).

In sintesi il collegio giudicante afferma che per ottenere il risarcimento è sufficiente provare l'inadempimento dell'obbligazione di mezzi, “senza che sia indispensabile fornire la prova particolaristica del nesso esistente tra la condotta e l'evento lesivo”.

Secondo il pensiero della Corte di cassazione, la necessità di un rigoroso accertamento causale si avrà solo “nel caso in cui il soggetto creditore agisca per il risarcimento del danno costituito dal mancato raggiungimento del risultato sperato, allorché ciò sia conseguenza (...) dell'inadempimento della prestazione del medico”.

Quando invece è inequivocabile la “risposta errata o comunque inadeguata” fornita dal sanitario, l'attore potrà agire in via autonoma per ottenere il risarcimento della “perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile”.

Errore del professionista

Nel caso di errore dell'avvocato che, nel caso di specie, non aveva proposto appello nei termini, la Corte di Cassazione sostiene che, non potendo l'avvocato garantire l'esito favorevole del giudizio, il danno derivante è ravvisabile soltanto se " sia pure con criteri necessariamente probabilistici si accerti che il gravame, se tempestivamente proposto, sarebbe stato giudicato fondato".

Danno da mancata promozione

In campo lavoristico la Corte di Cassazione civile, sez. lavoro, con sentenza 18.01.2006 n. 852 civ, in ordine al danno da mancata promozione, ha sancito che si deve scindere la chance nelle sue due forme, ontologica ed eziologica, ed entrambe sono risarcibili.

A giudizio della Corte infatti occorre distinguere tra il danno da mancata promozione da quello di perdita di chance: nel primo caso, il lavoratore, che agisca per risarcimento del danno, deve provare sia l'illegittimità della procedura concorsuale sia che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi.

Mancata aggiudicazione dell’appalto

Anche il giudice amministrativo, già da tempo, utilizza gli schemi civilistici per risarcire il danno causato dalla PA alle situazioni soggettive del privato cittadino.

La tecnica risarcitoria del danno da perdita di chance trova applicazione preferenziale nei casi di illegittima esclusione dalla gare d’appalto, allorché la stazione appaltante ha illegittimamente negato al partecipante di “giocarsi” le proprie chances per vincere la gara d’appalto.

In tali casi, però, l’interesse pretensivo dell’impresa esclusa non può essere pienamente soddisfatto attraverso il bene della vita cui il partecipante alla gara aspirava, per cui il danno viene risarcito in via equitativa.


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